Ciao a tutti,
oggi voglio mettere da parte le ricette di bellezza per parlarvi di un progetto d’arte pubblica organizzato a Sinnai domenica 8 Marzo, in occasione della festa della donna.
Sono stata coinvolta in questo bellissimo progetto da un’amica, Valentina, che mi ha chiesto di creare un bracciale adatto per l’occasione, il cui ricavato sarebbe stato una piccola goccia che avrebbe contribuito all’acquisto dei materiali necessari alla realizzazione dell’evento. Naturalmente ho detto si, ed è nato il bracciale che vedete in foto.
Zapatos rojos è un’installazione di arte pubblica ideata e realizzata per la prima volta dall’artista-architetto messicana Elina Chauvet, che attraverso trentatré paia di scarpe rosse ha voluto ricordare le donne uccise a Ciudad Juarez in Messico, luogo in cui per la prima volta è stato usato il termine femminicidio. Ciudad Juarez è una città di frontiera in cui, a partire dal 1993, sono state rapite, stuprate e uccise centinaia di donne, che sono letteralmente svanite nel nulla, senza che le autorità se ne preoccupassero.
Perché le scarpe? Le scarpe sono un po un simbolo della donna, e le loro differenze rispecchiano il carattere di chi le indossa. Vederne tante tutte diverse, ma accomunate da un unico colore, il rosso, sparpagliate in una piazza, mi ha fatto pensare a una marcia di donne fantasma. Donne diverse per nazionalità, per personalità, per la storia che si portano sulle spalle, ma accomunate da una cosa fondamentale, ovvero l’essere donne. Recitava un cartellone esposto “Ni puta, ni santa, solo mujer” (Né puttana, né santa, semplicemente donna).
Le scarpe siamo abituati a vederle nei negozi, in cui non è strano vederle non indossate, ma vederle disposte su un pavimento di cemento all’aria aperta è tutta un’altra storia. Diventano oggetti decontestualizzati, senza padrone, e allora la mente cerca di ricomporre l’immagine che esse evocano, la parte mancante del puzzle: la donna che le indossa.
Perché il rosso? Questo colore così vivace e acceso è il primo colore in assoluto che percepiamo da bambini, ed è un colore associato a un elemento fondamentale della natura: il fuoco. Il fuoco che scalda, che da luce, che fa compagnia durante le lunghe serate invernali, un fuoco purificante presente in molti riti ancestrali e che si ripresenta in svariate manifestazioni anche nel mondo moderno, come las fallas a Valencia o i fuochi del carnevale di Mamoiada in Sardegna. Ma il rosso è anche il colore del sangue, della violenza, ma anche della passione che caratterizza l’essere umano. È un colore che ha dentro di sé il bene e il male, come ogni cosa d’altra parte, ed è per questo che bisognerebbe esaltarne il suo carattere positivo.
Come giustamente è stato fatto notare durante gli interventi che si sono susseguiti durante la manifestazione, spesso si pensa alla violenza solo come violenza fisica, quando invece esistono forme di violenza ben più subdole, come lo stalking. Io ne sono stata vittima qualche anno fa. Spesso pensiamo che certe cose possano succedere solo agli altri, quando invece, gli altri siamo noi. Non è facile ammetterlo, spesso non si tratta di vere e proprie minacce, ma di messaggi insistenti, mail, telefonate, che sembrano non avere mai fine.
Ho riflettuto a lungo se confidarvi questa cosa oppure no, ma poi ho pensato che la mia testimonianza potrebbe aiutare qualcun altro ad uscire da una situazione simile. Il messaggio che vorrei passasse è che per uscire da queste situazioni bisogna parlarne in famiglia, con gli amici e anche con la polizia. E soprattutto non bisogna farsene una colpa. Infatti, se è vero che per iniziare un rapporto bisogna essere in due, è anche vero che per chiuderlo è sufficiente che uno dei due lo desideri. E il compito dell’altro, uomo o donna che sia, è quello di rispettare la decisione e farsi da parte. E’ inutile rispondere alle provocazioni con rabbia, rancore, odio e tirare fuori la parte peggiore di noi stessi. E’ inutile scrivere o dire frasi come “smettila, basta, ho deciso di non rispondere più”. Tutte queste frasi non fanno altro che alimentare il sentimento sbagliato dell’altro. Per uscire da questa situazione bisogna rompere ogni tipo di legame con l’altro, smettere di rispondere alle provocazioni, alle telefonate, alle mail. E non bisogna colpevolizzare se stessi e avere vergogna di parlarne con altre persone. Bisogna denunciare senza paura prima che queste piccole cose possano trasformarsi in qualcosa di ben più grave.
Vorrei ringraziare due persone speciali Silvia Palmas e Laura Mereu che hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto d’arte anche nel nostro paese.
Vi abbraccio tutti virtualmente.
A presto
Grazie
Lascia un commento